Chi si trova a guardare la copertina di questo libro, “Amerigo
Fiumara-Il Psiup- Francavilla prima e dopo (’50-’79)”,
pensa, e non a torto, alla rievocazione della storia di un gruppo
politico, attivamente impegnato nella costruzione del socialismo in
Francavilla Angitola, uno dei tanti nostri piccoli paesi, quasi
sempre carichi di storia, che vanno a comporre molte delle province
meridionali, tra cui certamente quelle lucane e calabresi.
Tuttavia l’impressione che può nascere dal primo impatto con
la copertina è incompleta e come tale rischia di lasciare nell’ombra
altra parte e prospettiva del libro, forse la più significativa e
dolorante .
Il libro infatti è, insieme a questo e prima di questo, la
rievocazione della vita e delle vicende di un “paese”, cioè di
quel centro di vita che è un paese: tale in quanto formatosi come
comunità, variegata, complessa e anche conflittuale, ma pur sempre
prima di tutto comunità; tale, inoltre e insieme, perché con la
sua presenza ha plasmato e sacralizzato il territorio che ad essa da
la vita.
Va rimarcato l’indissolubile rapporto dialettico che intercorre
tra l’uomo ( inteso sempre come “gli uomini”, come quella
grande comunità che è la umanità e che pure così tanto stenta a
riconoscersi pienamente come tale), tra l’uomo , ripeto, e la
terra: e più concretamente tra le comunità concrete ed il
territorio che esse plasmano e da cui, così plasmato, traggono la
loro vita e fondano la sua storia ( o, all’opposto, come nella
fase storica – o forse nell’era- che stiamo vivendo , che esse
avvelenano e da cui restano avvelenate, nella mente prima che nel
corpo).
Francavilla, inoltre, è una delle tante soggettività di vita
e di storia (dove c’è l’una c’è necessariamente l’altra)
che, ognuna con le proprie peculiarità, compongono quel più vasto
arcipelago di vita, di storia e di cultura che è il nostro
Meridione. Un arcipelago, per dare concretezza alle parole,
mediterraneo, prima che italiota o italiano, quale si è andato
formando, per stratificazioni successive, non solo nel corso
dell’ultimo millennio, a partire dall’ingresso nella nostra vita
dei guerrieri normanni, che hanno dato ad esso un forte connotato di
soggetto politico; ma più ancora quale si è andato formando nel
corso dei millenni precedenti, con la lunga, penetrante e feconda
presenza e comunanza bizantina e, prima ancora, per quanto è dato
ricordare, con la presenza magnogreca, apportatrice di nuovi modi di
vivere e di più aperti orizzonti. Presenze entrambe mediterranee,
entrambe di grande impatto nell’addomesticamento della nostra
ferinità e nella plasmazione della nostra anima, come, a proposito
della presenza bizantina, - con cui Francavilla ha un rapporto
elettivo – ha sempre cura di ricordare Domenico Minuto nei suoi
vasti studi e nelle tante sue pubblicazioni, tra le quali ultime va
ricordato il bel compendio di storia, costituito dalla “Storia
delle gente in Calabria”, pubblicato in anni recenti (2007).
Aprendo il libro di Amerigo, il paese dei decenni in esso
considerati, tale perché legato dal sentimento “di una coesione
sociale sentita e praticata”, si apre al lettore, in modo
immediato, in tutta la varietà delle persone che ne componevano la
trama;nella varietà delle attività, dei mestieri, delle
professioni che costituivano gran parte della loro presenza
sociale; dei rapporti, delle amicizie, delle conflittualità che tra
di esse si intrecciavano, e non meno della gioia che ad esse
proveniva dalle feste che ne scandivano il tempo, una gioia lunga,
particolare proprio perché gioia comune.
L’Autore si pone come semplice cronista, come uno dei tanti
attori di quella storia oggi vivente in questa cronaca, con l’occhio
rivolto all’adempimento di un compito verso le alle “giovani
generazioni”, quasi a volerne prolungare in loro la presenza. Ed è
da questo forse che il resoconto trae la forza e l’immediatezza
proprie di una cronaca essenziale ed insieme capace di restituire un
quadro ampio, completo, dettagliato, in cui uomini e fatti trovano,
pur nella vicenda mobile che è un paese, esatta collocazione.
Ma non è questo l’intento di questa nota, nella quale, se
fosse questo l’intento, bisognerebbe ritrascivere , passo passo,
interamente quella cronaca, che il lettore farà bene a cogliere alla
fonte. Qui basta ribadire che l’Autore, in modo organico e
ordinato, pone al centro il quadro delle sorprendentemente numerose e
varie attività socio-economiche di questa comunità, benché piccola
e benché la sua articolazione traesse le sue basi, come primo
anello forte, alla lavorazione della terra, con tutte le variegate
attività, anche complesse e apparentemente lontane, che poi ne
derivano. Ed insieme emergono le persone e le famiglie che le
esercitavano, in un reciproco scambio vitale; ed anche la vita e la
storia delle più complesse aggregazioni che da esse nascevano, quale
la vicenda della Cooperativa Edilizia fondata nel 1950. Essa, nella
sua linearità, anche così come rapidamente tracciata, offre ampia
materia di approfondite riflessioni sulla storia delle nostre
popolazioni, sulle capacità di plasmazione e di cooperazione; che,
ancora dopo la seconda guerra mondiale, in esse pulsava.
Uno spazio importante di questa cronaca della comunità di
Francavilla nel trentennio 50/79 è dedicato alla storia della
partecipazione politica che in quegli anni animava la vita dei nostri
paesi; ed in particolare alla storia della presenza del Psiup,
partito socialista che aveva come suo fulcro il proposito di
realizzare, lì dove già imperava la cultura delle categorie,
l’unità proletaria; e più in particolare ancora alla storia del
Centro Giovanile Popolare.
Si è trattato in questo caso di un Centro, fondato da militanti
comunisti di diversa provenienza, tra cui l’Autore, ma tutti
fortemente legati alla cultura ed alla condizione del paese ; e
perciò pensato come attivo strumento di scambio tra il Centro
stesso e la comunità cittadina, avendo come riferimento le nuove
correnti di pensiero e di organizzazione sociale che si andavano
aprendo in quella più vasta comunità degli uomini che, sia pure
ancora non sufficientemente consapevole di sé, è il mondo. Tanto è
dato rilevare dalle attività da esso progettate e/o attuate, quale
l’azione contro l’occupazione abusiva della spiaggia, la ricerca
sul tessuto socio-economico francavillese, l’organizzazione di una
prima festa popolare dopo un’accurata raccolta di canti,
poesie, proverbi e filastrocche, e soprattutto dalla realizzazione di
un luogo d’incontro qualificato, aperto a tutti i cittadini.
Questa ultima annotazione mi consente di tornare all’inizio di
questa nota. Vi era in questa impostazione del Centro Giovanile,
inteso necessariamente anche come struttura di crescita della
comunità in cui esso nasceva, il sentimento di una doppia
appartenenza, di un doppio legame di natura sinergica, in cui il
fatto e il sentimento di appartenenza ad un progetto politico di
radicale reimpostazione delle basi della società mondiale, ed al
soggetto o meglio ai soggetti formatisi per dare ad esso
realizzazione, si legava al fatto e al sentimento di appartenere ad
un soggetto comunitario vivente, fatto indissolubilmente di terra e
di storia, di uomini e di territorio, nel quale e con il quale
soltanto l’impegno per quel progetto avrebbe potuto mettere radici
e diventare fatto vivente.
Purtroppo mancò poi, e non per colpa di Francavilla, la
coscienza della necessità di questa doppia appartenenza ,
trattandosi non di un semplice accostamento, né di una semplice
sommatoria, ma di un rapporto sinergico di crescita, di un rapporto
senza del quale l’una e l’altra soggettività erano destinate ad
una più o meno rapida involuzione. Oggi non vi è un solo partito
“popolare” , che non si riduca ad una dirigenza, dalla quale
discendono dirigenze locali; e la richiesta, alla moltitudine dei
fedeli, della fede nel potere taumaturgico della dirigenza suprema:
e con essa, in definitiva, l’articolazione burocratica del potere
supremo nei territori, ridotti da luoghi comunitari in periferie.
La dissoluzione di quel “senso di una coesione sociale,
sentita e praticata” che Amerigo Fiumara lamenta e presenta ad
apertura del libro, nasce da questa più ampia crisi della
democrazia e delle sue basi materiali e relazionali. Trova cioè
espressione nella dissoluzione della nostra materiale appartenenza
alla terra attraverso la dissoluzione dell’appartenenza alle nostre
singole comunità territoriali e al reticolo di comunità sempre più
articolato in cui si collocano le loro relazioni di vita, di cui
l’arcipelago Meridione, se non si vuole cancellare la storia e la
geografia attraverso cui la vita degli uomini trova corpo,costituisce
momento reale; e come tale punto di riferimento ineludibile in ogni
processo che nasce dal bisogno-necessità di ridare spazi alla
democrazia.
In definitiva la dissoluzione della materiale appartenenza
ad una comunità e ad un territorio, e la dissoluzione del sentimento
correlativo, vissuto ed evocato in questa storia, si traduce
nella dissoluzione della nostra materiale e morale appartenenza alla
terra, ad una terra sempre meno nostra, sempre più aliena perché
in mano di un potere lontano e noi estraneo.
Stranamente soccorrono oggi, nell’interpretazione di quanto
avviene a Francavilla come in ogni altro villaggio del mondo, i
presentimenti che davano forma alle mitologie dell’Impero, tanto
care ad alcune generazioni di giovani a noi vicine. Senza un nostro
ancoramento alla terra – una terra da rendere sempre più nostra -,
costruito da ognuno come cittadino di una comunità e dei reticoli di
comunità in cui ciascuna di esse trova il proprio spazio ed il
proprio orizzonte, s’impone il procedere dell’Impero ed il
deserto di cui esso si circonda; o, se si preferisce, il deserto dal
quale quotidianamente veniamo circondati e l’Impero che su di noi,
resi impotenti e muti, si va costruendo.
Se così è, e se tutto questo non solo pura immaginazione,
allora la storia di Francavilla quale tracciata in questo libro,
tanto più efficace quanto più privo di pretese, è emblematica: e
la nostalgia da cui esso nasce è una forza attiva, traducendosi in
un richiamo alla necessità di lavorare consapevolmente, in modo
organizzato alla costruzione – qui ed ora, le uniche dimensioni di
cui disponiamo - di un ordine basato sulla centralità dell’uomo
quale comunità.