domenica 15 giugno 2014

Antonio Giancotti: Perito Chimico-Dott. in Lingue: "è una storia di Francavilla per Francavillesi"

Caro Amerigo,
arrivo buon ultimo a commentare il tuo lavoro, e me ne dispiaccio profondamente. Ho dovuto cestinare gli appunti che m’ero fatto man mano leggevo, perché nelle recesioni li ho poi trovati egregiamente sviluppati, persino talvolta con parole identiche alle mie (un esempio: “tensione etica”, che ritrovo nel commento di Franco Mellea). Per evitare inutili ripetizioni mi è quindi venuto in mente di fare un metacommento,  cioè un commento dei commenti.
Devo complimentarmi con te per la fitta rete di conoscenze ed amicizie che ha risposto al tuo appello, e che si è espressa con così grandi capacità  analitiche e critiche. Il rischio poteva essere quello di scadere nell’oleografico, ma ciò non è affatto avvenuto. Anzi, accanto a giustificatissime attestazioni di sintonia, di elogio e di affetto, che peraltro condivido perfettamente, compaiono puntuali le evidenziazioni di alcune imperfezioni. Sono queste che vorrei a mia volta commentare.
Cominciamo dal titolo: può essere certo improprio, fuorviante, o quant’altro. Ma quando si “penetra” il libro si capisce bene che inserendo all’inizio del titolo “Il PSIUP” hai solo voluto fare un’appassionata dichiarazione d’amore per il periodo della tua vita in cui la tua mente, il tuo cuore e la tua anima hanno raggiunto il picco della tua espressione esistenziale.
Riguardo alla non “letterarietà” del lavoro: mi sembra lapalissiano il fatto che tu sia un ingegnere, non un letterato, né uno storico, né un sociologo. Ma sei stato un cronista lucido, onesto, affettuoso. Autentico!
La minuziosità, gli elenchi (che qualcuno ha definito aridi) di nomi e cose: devo dire che anche a me all’inizio era venuta in mente l’Encyclopédie di settecentesca memoria. Ma nel prosieguo della lettura ho capito che era come se fossimo tutti intorno a un tavolo e che tu raccontassi: “mi ricuordu, c’era Vitu, Pinu,…”. Citare tutto e tutti era dimostrare (con un implicito sorriso) quanto vivida era la tua memoria, e, oltretutto, guai se tu avessi taciuto un particolare, o avessi dimenticato qualcuno: non ti sarebbe stato perdonato. Infatti la tua è una storia di Francavilla per francavillesi, per cui hai fatto accomodare al tavolo quante più persone hai potuto, e li hai riportati nelle storie, negli ambienti, nelle atmosfere.
Da ultimo, concordo con chi raffrontando l’anima di quei decenni al grigiore (addirittura il “nulla”, si è detto) dei nostri giorni prova molta amarezza, ma non possiamo dire che alla fine non si sia ottenuto alcunché: almeno gli attaccapanni in classe per i soli figli dei “signori” non si vedono più….
Grazie, Amerigo, per questo prezioso racconto che mi ha svelato una Francavilla che non conoscevo. Un compaesano appassionato come te accresce il mio orgoglio di essere francavillese.


Antonio Giancotti (di Foca)

mercoledì 11 giugno 2014

Francesco Tassone: Avvocato, già Giudice, fondatore dei Quaderni Calabresi -l'adempimento di un compito verso le "giovani generazioni"-

  Chi si trova a guardare la copertina di questo libro, “Amerigo Fiumara-Il Psiup- Francavilla prima e dopo (’50-’79)”, pensa, e non a torto, alla rievocazione della storia di un gruppo politico, attivamente impegnato nella costruzione del socialismo in Francavilla Angitola, uno dei tanti nostri piccoli paesi, quasi sempre carichi di storia, che vanno a comporre molte delle province meridionali, tra cui certamente quelle lucane e calabresi.
Tuttavia l’impressione che può nascere dal primo impatto con la copertina è incompleta e come tale rischia di lasciare nell’ombra altra parte e prospettiva del libro, forse la più significativa e dolorante .
Il libro infatti è, insieme a questo e prima di questo, la rievocazione della vita e delle vicende di un “paese”, cioè di quel centro di vita che è un paese: tale in quanto formatosi come comunità, variegata, complessa e anche conflittuale, ma pur sempre prima di tutto comunità; tale, inoltre e insieme, perché con la sua presenza ha plasmato e sacralizzato il territorio che ad essa da la vita.
Va rimarcato l’indissolubile rapporto dialettico che intercorre tra l’uomo ( inteso sempre come “gli uomini”, come quella grande comunità che è la umanità e che pure così tanto stenta a riconoscersi pienamente come tale), tra l’uomo , ripeto, e la terra: e più concretamente tra le comunità concrete ed il territorio che esse plasmano e da cui, così plasmato, traggono la loro vita e fondano la sua storia ( o, all’opposto, come nella fase storica – o forse nell’era- che stiamo vivendo , che esse avvelenano e da cui restano avvelenate, nella mente prima che nel corpo).
Francavilla, inoltre, è una delle tante soggettività di vita e di storia (dove c’è l’una c’è necessariamente l’altra) che, ognuna con le proprie peculiarità, compongono quel più vasto arcipelago di vita, di storia e di cultura che è il nostro Meridione. Un arcipelago, per dare concretezza alle parole, mediterraneo, prima che italiota o italiano, quale si è andato formando, per stratificazioni successive, non solo nel corso dell’ultimo millennio, a partire dall’ingresso nella nostra vita dei guerrieri normanni, che hanno dato ad esso un forte connotato di soggetto politico; ma più ancora quale si è andato formando nel corso dei millenni precedenti, con la lunga, penetrante e feconda presenza e comunanza bizantina e, prima ancora, per quanto è dato ricordare, con la presenza magnogreca, apportatrice di nuovi modi di vivere e di più aperti orizzonti. Presenze entrambe mediterranee, entrambe di grande impatto nell’addomesticamento della nostra ferinità e nella plasmazione della nostra anima, come, a proposito della presenza bizantina, - con cui Francavilla ha un rapporto elettivo – ha sempre cura di ricordare Domenico Minuto nei suoi vasti studi e nelle tante sue pubblicazioni, tra le quali ultime va ricordato il bel compendio di storia, costituito dalla “Storia delle gente in Calabria”, pubblicato in anni recenti (2007).
Aprendo il libro di Amerigo, il paese dei decenni in esso considerati, tale perché legato dal sentimento “di una coesione sociale sentita e praticata”, si apre al lettore, in modo immediato, in tutta la varietà delle persone che ne componevano la trama;nella varietà delle attività, dei mestieri, delle professioni che costituivano gran parte della loro presenza sociale; dei rapporti, delle amicizie, delle conflittualità che tra di esse si intrecciavano, e non meno della gioia che ad esse proveniva dalle feste che ne scandivano il tempo, una gioia lunga, particolare proprio perché gioia comune.
L’Autore si pone come semplice cronista, come uno dei tanti attori di quella storia oggi vivente in questa cronaca, con l’occhio rivolto all’adempimento di un compito verso le alle “giovani generazioni”, quasi a volerne prolungare in loro la presenza. Ed è da questo forse che il resoconto trae la forza e l’immediatezza proprie di una cronaca essenziale ed insieme capace di restituire un quadro ampio, completo, dettagliato, in cui uomini e fatti trovano, pur nella vicenda mobile che è un paese, esatta collocazione.
Ma non è questo l’intento di questa nota, nella quale, se fosse questo l’intento, bisognerebbe ritrascivere , passo passo, interamente quella cronaca, che il lettore farà bene a cogliere alla fonte. Qui basta ribadire che l’Autore, in modo organico e ordinato, pone al centro il quadro delle sorprendentemente numerose e varie attività socio-economiche di questa comunità, benché piccola e benché la sua articolazione traesse le sue basi, come primo anello forte, alla lavorazione della terra, con tutte le variegate attività, anche complesse e apparentemente lontane, che poi ne derivano. Ed insieme emergono le persone e le famiglie che le esercitavano, in un reciproco scambio vitale; ed anche la vita e la storia delle più complesse aggregazioni che da esse nascevano, quale la vicenda della Cooperativa Edilizia fondata nel 1950. Essa, nella sua linearità, anche così come rapidamente tracciata, offre ampia materia di approfondite riflessioni sulla storia delle nostre popolazioni, sulle capacità di plasmazione e di cooperazione; che, ancora dopo la seconda guerra mondiale, in esse pulsava.
Uno spazio importante di questa cronaca della comunità di Francavilla nel trentennio 50/79 è dedicato alla storia della partecipazione politica che in quegli anni animava la vita dei nostri paesi; ed in particolare alla storia della presenza del Psiup, partito socialista che aveva come suo fulcro il proposito di realizzare, lì dove già imperava la cultura delle categorie, l’unità proletaria; e più in particolare ancora alla storia del Centro Giovanile Popolare.
Si è trattato in questo caso di un Centro, fondato da militanti comunisti di diversa provenienza, tra cui l’Autore, ma tutti fortemente legati alla cultura ed alla condizione del paese ; e perciò pensato come attivo strumento di scambio tra il Centro stesso e la comunità cittadina, avendo come riferimento le nuove correnti di pensiero e di organizzazione sociale che si andavano aprendo in quella più vasta comunità degli uomini che, sia pure ancora non sufficientemente consapevole di sé, è il mondo. Tanto è dato rilevare dalle attività da esso progettate e/o attuate, quale l’azione contro l’occupazione abusiva della spiaggia, la ricerca sul tessuto socio-economico francavillese, l’organizzazione di una prima festa popolare dopo un’accurata raccolta di canti, poesie, proverbi e filastrocche, e soprattutto dalla realizzazione di un luogo d’incontro qualificato, aperto a tutti i cittadini.
Questa ultima annotazione mi consente di tornare all’inizio di questa nota. Vi era in questa impostazione del Centro Giovanile, inteso necessariamente anche come struttura di crescita della comunità in cui esso nasceva, il sentimento di una doppia appartenenza, di un doppio legame di natura sinergica, in cui il fatto e il sentimento di appartenenza ad un progetto politico di radicale reimpostazione delle basi della società mondiale, ed al soggetto o meglio ai soggetti formatisi per dare ad esso realizzazione, si legava al fatto e al sentimento di appartenere ad un soggetto comunitario vivente, fatto indissolubilmente di terra e di storia, di uomini e di territorio, nel quale e con il quale soltanto l’impegno per quel progetto avrebbe potuto mettere radici e diventare fatto vivente.
Purtroppo mancò poi, e non per colpa di Francavilla, la coscienza della necessità di questa doppia appartenenza , trattandosi non di un semplice accostamento, né di una semplice sommatoria, ma di un rapporto sinergico di crescita, di un rapporto senza del quale l’una e l’altra soggettività erano destinate ad una più o meno rapida involuzione. Oggi non vi è un solo partito “popolare” , che non si riduca ad una dirigenza, dalla quale discendono dirigenze locali; e la richiesta, alla moltitudine dei fedeli, della fede nel potere taumaturgico della dirigenza suprema: e con essa, in definitiva, l’articolazione burocratica del potere supremo nei territori, ridotti da luoghi comunitari in periferie.
La dissoluzione di quel “senso di una coesione sociale, sentita e praticata” che Amerigo Fiumara lamenta e presenta ad apertura del libro, nasce da questa più ampia crisi della democrazia e delle sue basi materiali e relazionali. Trova cioè espressione nella dissoluzione della nostra materiale appartenenza alla terra attraverso la dissoluzione dell’appartenenza alle nostre singole comunità territoriali e al reticolo di comunità sempre più articolato in cui si collocano le loro relazioni di vita, di cui l’arcipelago Meridione, se non si vuole cancellare la storia e la geografia attraverso cui la vita degli uomini trova corpo,costituisce momento reale; e come tale punto di riferimento ineludibile in ogni processo che nasce dal bisogno-necessità di ridare spazi alla democrazia.
In definitiva la dissoluzione della materiale appartenenza ad una comunità e ad un territorio, e la dissoluzione del sentimento correlativo, vissuto ed evocato in questa storia, si traduce nella dissoluzione della nostra materiale e morale appartenenza alla terra, ad una terra sempre meno nostra, sempre più aliena perché in mano di un potere lontano e noi estraneo.
Stranamente soccorrono oggi, nell’interpretazione di quanto avviene a Francavilla come in ogni altro villaggio del mondo, i presentimenti che davano forma alle mitologie dell’Impero, tanto care ad alcune generazioni di giovani a noi vicine. Senza un nostro ancoramento alla terra – una terra da rendere sempre più nostra -, costruito da ognuno come cittadino di una comunità e dei reticoli di comunità in cui ciascuna di esse trova il proprio spazio ed il proprio orizzonte, s’impone il procedere dell’Impero ed il deserto di cui esso si circonda; o, se si preferisce, il deserto dal quale quotidianamente veniamo circondati e l’Impero che su di noi, resi impotenti e muti, si va costruendo.


    Se così è, e se tutto questo non solo pura immaginazione, allora la storia di Francavilla quale tracciata in questo libro, tanto più efficace quanto più privo di pretese, è emblematica: e la nostalgia da cui esso nasce è una forza attiva, traducendosi in un richiamo alla necessità di lavorare consapevolmente, in modo organizzato alla costruzione – qui ed ora, le uniche dimensioni di cui disponiamo - di un ordine basato sulla centralità dell’uomo quale comunità.